MATTANZA 9 GIUGNO 2007
Ed ecco, l'evento si compie. La grande corrente
superficiale atlantica, che ha portato i branchi
dallo stretto di Gibilterra a Biserta, in Tunisia, si biparte e uno
dei rami si piega verso le coste settentrionali di Sicilia, donde
rimonterà lungo quelle sud-occidentali italiane.
E' un grande fiume nel mare profondo circa m 60, con temperature
intorno ai l5°c, e nel suo seno nuotano, gonfi di semi, i bei tonni.
Alla fine di maggio le Egadi si presentano come luogo ideale per la
procreazione: l7-l8 gradi di temperatura a 20 metri di protondità,
salinità superiore al 37 per mille.
La corrente sfiora Marettimo e la costa nord-occidentale di Levanzo,
dove, giunta a Capo Grosso, devia tra Levanzo e la costa di Trapani
girando intorno allo scoglio dei Porcelli. E lì i tonni sono attesi
dalle « code » e dai « codardi » delle tonnare di Bonagia e S.
Cusumano sulla costa sicula e di Favignana e Formica nelle Egadi.
Su Favignana puntano respinti dai bassissimi fondali tra Punta Marsala
e lo Stagnone e nel loro dietro-front incontrano i « codardi » della
tonnara.
Molti, portati dalle correnti locali prodotte dai venti, si dirigono
verso la tonnara di Formica. Favignana ne attrae normalmente il doppio
di Formica.
I bei pesci, ingenui e timidi, vedono la trama delle reti come una
lunga parete invalicabile, nonostante in realta esse siano sottili e
le maglie assai larghe, tali da poter essere superate con estrema
facilità dalla loro forza.
Spinti dal bisogno di procreare, i tonni nuotano in branco
fianchecciando il « codardo », poi la costa di Favignana, fino al
porto; poco oltre trovano un secondo sbarramento quasi perpendicolare
alla costa (vedi disegno) Ormai sono in trappola: di camera in camera
il Rais darà ordine di aprire e chiudere le varie porte facendo
avvicinare sempre piu il branco alla fatale camera della morte,
lasciando libero il faratico per l'ingresso di altri branchi.
V'è un uomo, sempre appostato su una barca sopra la porta della
tonnara, che, con una lenza in mano, « sente » dal numero dei fremiti
quanti tonni sono entrati e lo comunica al Rais.
La gente aspetta con impazienza. Quando gli sembra che il numero sia
sufficiente e le condizioni del tempo e del mare siano buone, il Rais
ordina per la mattina successiva all'alba la mattanza. E' intatti
necessario che il mare sia calmo perchè le barche di tonnara, studiate
per le loro particolari funzioni, non sopportano l'ondeggiamento; la
decisione viene quindi presa fiutando il vento e le correnti e poi
confermata la mattina stessa alla ciurma.
Un tempo, fino al governo di Rais Mercurio, barche e ciurma restavano
in mare ogni giorno dalle 3-4 del mattino e il raìs ordinava la
mattanza in qualunque momento ritenesse opportuno; se ne potevano fare
diverse, fino alle 3 del pomeriggio, ora in cui veniva ordinato il
rientro.
Oggi tutto è cambiato: si fa una mattanza al giorno. Rais Mercurio
scuoteva il capo severamente, dicendoci che il pesce va preso quando
Dio lo manda e che come entra nella tonnara cosi può anche uscirne se
non si è lesti a catturarlo. E infatti era il tempo delle pesche
miracolose...
E' l'alba. Gli uomini si radunano alla spicciolata contro i muri dei
magazzini, ognuno col suo fagotto per cambiarsi dopo la pesca e con
qualcosa da mettere sotto i denti. Arriva l'ordine di imbarco ed essi
salgono all'arrembaggio in un apparente caos fra lazzi e richiami,
quasi che scherzando volessero sdrammatizzare la tensione di mesi di
attesa di quest'unico momento.
Con eccezionale perizia nel maneggio di funi e ramponi, le nere barche
si legano l'una all'altra e tutte vengono prese a rimorchio da un
unico barcone a motore che ronza verso il largo componendo la
processione di tutti quei vascelli di morte.
Giunti al palo di San Pietro la sciabica del Rais si ferma e tutti si
fermano:
il capo si toglie il berretto imitato dalla ciurma; un gran silenzio
cala sul mare e la voce del rais intona le preghiere dl sempre:
Un Credo o Signuri,
Una Salve Regina a Maronna ri Trapani... »
Gli uomini rispondono con le preghiere:
« ... nna Reca Materna all'armiceddi santi priatori rì nostri morti '.
« Chi Diu lu facissi! » rispondono i tonnaroti.
Poi il rais conclude : « Bongiorno a tutti! » e si rimette il berretto
in capo.
Si riparte: sul mare boe e cavitelli disegnano lo schema del « corpo
». Ogni barca sa qual è il suo posto e il suo compito; osservando gli
uomini si ha chiara l'evidenza che essi compiano operazioni secolari,
perfettamente unificati alla tradizione: ogniuno di essi è il
tonnaroto eterno.
Con movimenti lenti e precisi la ciurma manovra in modo che le tre
camere: bordonaro, bastardo e della morte siano in comunicazione tra
loro perché il pesce possa affluire tutto verso quest'ultima: l'attesa
dura da mezz'ora ad alcune ore.
Occhi scrutano il movimento del branco dalle finestrelle della barca o
dai bidoni col vetro sul fondo; il sommozzatore svolge il suo compito
di pastore subacqueo; il silenzio è rotto solo da qualche battuta
scherzosa, ma a un tratto tutto si risveglia e si galvanizza intorno a
una voce che annuncia l'avvenuto passaggio dcl tonno nella camera
della morte.
Le barche si dispongono in quadrato lungo il perimetro: le medie ai
lati maggiori, un vascello più grande chiude il lato di ponente e gli
uomini fissano saldamente i bordi della rete con carrucole alla
fiancata. Frattanto il vascello maggiore si sarà portato all'altezza
del quarto lato della camera della morte e, al grido del rais «
Assumma! » e, oltre quaranta uomini in pied sul bordo cominciano a
issare la porta della camera con la maggiore rapidità possibile. A
mano a mano che tirano in sincronia la rete, il vascello avanza a
chiudere il quadrato magico della mattanza.
Il Rais, sulla sua sciabica guidata da due assistenti, si e portato al
centro del quadrato verso tre quarti di ponente; la sciabica viene
assicurata con due funi ai lati nord e sud.
Il Raìs ha indossato un pesante impermeabile di gomma nero ed ha il
capo coperto da un cappuccio: più che mai egli sembra ora un sacerdote
di strani riti; per sovrastare le grida ed il vociare degli uomini che
si fanno sempre più assordanti egli impartisce gli ordini con un
fischietto e con ampi, solenni gesti delle braccia.
Alle sue spalle gli uomini si danno da fare a fissare saldamente le
orecchiette » della camera della morte, cioè i due angoli del quadrato
contro cui fra poco si scaglieranno i tonni in un disperato tentativo
di fuga.
Ora il quadrato, o « castello », è quasi completamente chiuso; gli
uomini del vascello della morte, mentre issano sincronicamente la
rete, sono sempre più pervasi dalla tensione e dalla brama della
prossima strage: grida e urla di incitamento salgono dai bordi della
loro fatica come un liquido in ebollizione che prema contro un
coperchio ai limiti dell'esplosione. E' un momento di alta
drammaticità in cui il Raìs sembra essere, nella sua solenne calma
sacerdotale, l'unico garante dell'umano dall'erompere dei piu bassi
scatenamenti dell'istinto e della violenza; ma è necessario che si
stabilisca ora nella ciurma l'altro polo di garanzia, affinchè si
determini un campo in cui le forze vengano incanalate e dominate.
Perciò è a questo punto e non prima che si leva la voce solista del «
cialomatore » e, come per incanto, tutto quel vociare convulso e
scomposto viene assorbito in un grande coro potente. L'analogia con la
musica di Orfeo che placa le belve è trasparente; e l'eterna funzione
del canto che nasce e rinasce dal popolo come incanalamento della
fatica o degli istinti o dell'oppressione. Le «Cialome» sono tra i piu
bei canti popolari.
La prima ad essere intonata d'« a voce » è Aja Mola, aja mola! che
secondo alcuni significa « Forza, moro! », e secondo altri Allah, che
muoia! »; si tratta di un antichissimo motivo decisamente arabo il cui
ritmo accompagna il movimento dei pescatori che issano la rete, mentre
le parole sono una specie di litania a Gesù Cristo, alla Vergine, a S.
Giuseppe perche proteggano i tonnaroti e consentano una buona pesca.
Quando il ritmo della « leva » si fa piu veloce e incalzante e già i
tonni si intravedono guizzare spaventati, « a voce » cambia a sua
volta il ritmo, intonando il battente Nianzò, così simile ai ritmi dei
clan negri, nel quale fra il solista e il coro si stabilisce un
serrato richiamo ai motivi più disparati della dura vita di mare,
dagli assalti dei saraceni alle vicende di pesca, agli amori, fino a
coinvolgere « San Petru piscaturi » nella speranza per il buon esito
della pesca.
« Assuma! Assuma! » gridano i tonnaroti. Se il pesce sott'acqua appare
numeroso essi ritornano festanti a cantare lina lina, ove però ora
Lina non è più la giovanetta vergine e senza dote da maritare,ma viene
designata come una figlia ricca, con bella dote, pronta da cogliere.
Ma ecco, ormai, il « coppo » o « leva » - cioè alla rete di fondo
della camera della morte - e a pochissimi metri dalla superfice; i
tonni impazziti cominciano a fendere l'acqua con le argentee pinne e
le code in un carosello angoscioso. « Spara a tunnina! » si grida. E
inizia il momento selvaggio del maremoto prodotto da quelle povere
creature senza piu scampo, che si dibattono in mancanza della
profondità marina per cui sono nate alla ricerca disperata d'una via
d'uscita.
Ogni canto si spegne entro il fragore di mareggiata che il tonno
produce nei suoi spasimi.
Urlano esaltati e intanto si armano dei terribili arpioni: si
dispongono in quattro o cinque gruppi di otto uomini ciascuno, entro
il bordo del vascello, una stretta trincea
Le bestie si accavallano ora in pochi centimetri d'acqua, dandosi
terribili colpi di coda, massacrandosi a vicenda, lanciandosi contro
gli angoli della camera della morte.
Gli uomini urlano esaltati e intanto si armano dei terribili arpioni:
si dispongono in quattro o cinque gruppi di otto uomini ciascuno entro
il bordo del vascello, una stretta trincea chiamata « stirato ».
Ogni gruppo si dispone in doppia fila di Quattro uomini: i primi due,
gli « arringatori »sono armati di arpioni corti (cm 90) - i « crocchi
d'arringare » - coi quali afferreranno per primi il tonno all'altezza
della testa; subito i secondi due, armati di e « crocchi » lunghi e (m
2), arpioneranno il pesce più in basso; poi la terza e la quarta
coppia, finchè la bestia resterà in bilico sul bordo E allora gli
arringatori, lasciato il « crocco », ne afferreranno le pinne dorsali
e con un ultimo strattone faranno precipitare il tonno all'interno del
vascello, alle loro spalle.
Ma il Rais non ha ancora dato l'ordine della mattanza: egli aspetta
che i pesci, nella loro disperata agonia, si siano semiuccisi tra loro
a colpi di coda e che la mancanza di ossigeno ne diminuisca la
tremenda forza.
E infatti gli spruzzi e le colonne d'acqua, che si levavano fino a 4 -
5 metri d'altezza, a poco a poco si smorzano; alcuni tonni ormai si
rivoltano a pancia all'aria, le bocche spalancate, gli enormi occhi
vitrei. Gli uomini sono sempre più eccitati, a mano a mano che
il sangue comincia a tingere l'acqua. Sul grande frastuono di urla e
di spruzzi e di tonfi si ode allora, lungo e lacerante, il fischio del
Rais che ordina la mattanza finale.
Con un grido poderoso gli uomini protendono fuori bordo i loro
tremendi uncini. I primi tonni vengono agganciati dagli arringatori e
poi dai crocchi lunghi; le carni vengono lacerate e tutto il residuo
di vita delle bestie si scatena in un pazzesco dibattersi di code
potenti come magli che schioccano nell'aria e nell'acqua con colpi
secchi. Il sangue ora scorre e spruzza a fiotti: i tonnaroti, il mare,
le reti si tingono di un rosso rubino. Grida strozzate dallo sforzo
danno la dimensione di uno scatenamento primitivo, d'una lotta
selvaggia. Le bellissime sagome affusolate dei pesci scintillano per
un attimo al sole in bilico sulla sponda dcl vascello e poi scompaiono
nell'urlo degli arringatori dentro il ventre della barca che frattanto
risuona dell'ossessionante tam-tam degli ultimi disperati colpi di
coda dei morenti. Il raìs, sempre ritto e calmo nella sua barca al
centro della strage, dirige a braccia alzate la mattanza emettendo a
intervalli regolari lunghi e fermi fischi che sembrano le trombe del
Giudizio.
Non si ha il tempo del disgusto e nemmeno di stare male: in tutto quel
finimondo c'è, nonostante tutto, un che di epico, di grandioso, di
ineluttabile che attanaglia dentro e rende partecipi di quella
battaglia furibonda tra la vita e la morte.
Le grida strozzate : Unooo e... due! con cui gli arringatori si
aiutano a dare l'ultimo colpo ai tonni più grossi punteggiano
l'avanzare della carneficina. Nè c'è differenza fra l'espressione
stravolta dei volti umani contratti nello sforzo e nella passione ed
il disperato dibattersi di trecento e più chili d'argento.
Il tutto dura fino all'ultimo tonno, mientre pare che il mondo intero
sia concentrato col fiato sospeso in quel microscopico quadrato di
mare non piu glauco, ma rosso, tremendamente rosso.
Infine l'ultimo bellissimo fuso d'argento piomba nel vascello. Allora
cli uomini si fermano e si guardano per un breve momento; quindi il
Raìs fischiando e agitando le braccia dà il segnale della fine della
mattanza.
Di colpo si molla il coppo e la spessa e robusta rete di fondo della
camera della morte scompare rapida in mare risucchiandovi il
sangue:l'acqua torna subito azzurra.
I tonnaroti si tolgono il berretto e gridano in coro: « E sempri sia
luratu u nomu di Jesu! ».
Gli ultimi smorzati colpi di coda si spengono nel vascello carico di
morte.
E un silenzio profondo avvolge la tonnara, mentre le barche si
districano dal magico quadrato e in fila indiana si dispongono a
seguire il vascello che per primo, in testa, viene trainato allo
stabilimento.
Il funerale delle nere sciabiche e mosciare si snoda assai lento, un
uomo copre il carico del vascello con un gran telone bianco.
Ci si accorge, soltanto ora, che c'è ancora il sole e il mare immenso
e Levanzo lì vicina e la stanchezza si insinua nei muscoli e nella
mente come un bicchiere di vino.
Tratto dall libro EGADI,MARE E VITA MURSIA Editore