Il forestiero che capiti in Sicilia,
specie nelle zone dove vengono pescati i tonni,
non può sfuggire al racconto della «mattanza»
che gli viene offerto, se non imposto addirittura,
per informarlo e impressionarlo attraverso i mille
particolari della sanguinosa battaglia fra i pescatori
e i tonni che vengono attratti, come si fa con le
tigri nella foresta, in gabbie appositamente preparate
come trappole in mare, dette proprio "gabbie
della morte".
Nel racconto vengono sottolineati
i rischi cui vanno incontro i pescatori nell'acciuffare
centinaia di tonni furiosi al confronto di quelli
che corrono i cacciatori di una sola tigre. Il sangue,
le urla, le codate e i morsi, tra gli spruzzi del
mare sconvolto, non si contano ad ogni seria narrazione
della mattanza.
Chi dipinge questi racconti è
soltanto Giovanni Mattò che fin dalla nascita
vive a Favignana, isola delle mattanze e delle tonnare.
Mattò non ha studiato nelle
accademie di belle arti e non ha avuto maestri.
Forse gli studi gli avrebbero fatto male: gli avrebbero
indicato le cose della terra, i gessi, le riproduzioni
dei quadri celebri, le scalinate, i parallelepipedi,
le nature morte ecc. Lo avrebbero, cioè,
allontanato dalle grandi battaglie sul mare dove
i pescatori di tonni, con reti e forconi, come gladiatori
nell'arena, danno vita a spettacoli di forza e di
pericolo.
I pennelli, i colori e le tele,
Mattò, li ha presi come un poeta che senza
laurea nè titoli accademici prende il calamaio,
la penna e la carta per raccontare le proprie emozioni.
I risultati di così semplice operazione sono
i quadri che adesso vediamo qui esposti. Non si
fa fatica ad accorgersi che l'autore è un
forte narratore e un artista che ha innata la pittura
come suo unico mezzo di epressione
Salvatore Fiume