Le "fosse" delle Egadi Per fronteggiare la crescente opposizione politica, i Borboni destinarono i castelli delle Egadi a luoghi di pena. Nacquero così, in pochi anni, le temutissime "fosse" delle Egadi. Infatti, sotto il dominio borbonico, Castel San Giacomo venne ampliato costruendovi molte altre celle. Ma, per poter contenere un maggior numero di condannati, molte celle furono ricavate nella roccia, a livello del pavimento del fossato, scavando il tufo sotto terra. Le celle così ottenute erano paragonabili a delle umide fosse; per questo motivo il carcere prese l'appellativo di "fossa". Il direttore del carcere San Giacomo, dottor Cataliotti, nelle sue memorie su Favignana, descrivendo l'interno del carcere racconta: "In questi luoghi erano ammassati i condannati ai lavori forzati e desta tutt'ora impressione vedere qualche traccia di puntale e di anello, nel quale si chiudeva la catena, che trascinava al piede il forzato". I condannati del carcere San Giacomo erano costretti ad eseguire lavori forzati: tagliavano pietre e legna. Le stesse opere vennero eseguite nel forte di Santa Caterina a Favignana. Quando, nel 1792, vi arrivarono i primi prigionieri politici sospettati di cospirare contro la casa regnante, i condannati vennero praticamente intombati nelle celle scavate dentro la roccia sotto il forte. Siccome alcune celle erano paragonabili ad antri bui o a pozzi, in cui venivano letteralmente calati i prigionieri, il posto divenne tristemente noto come "fossa di Santa Caterina". In questa micidiale "fossa" furono calati anche i patrioti siciliani del 1812 e il barone Giovanni Nicotera, il quale dopo circa sei mesi di torture, ne fu pescato fuori più morto che vivo. Della durezza di questo carcere si parlò molto, soprattutto dopo che ebbe "ospitato" il Nicotera. Fu infatti definito "il santuario del patriottismo del Forte San Leonardo Regno delle Due Sicilie", "la negazione di Dio", il "sepolcro di un vivo" (in riferimento alla prigionia di Nicotera nella stanza dell'asino). Molto espressivo risulta anche il vecchio detto: 'U carciri di Santa Catarina è ammintuatu, cu trasi c'a parola nesci mutu. (il carcere di Santa Caterina è ben conosciuto: chi entra con la parola, esce muto). I vecchi isolani quando ne parlano dicono ancora: 'o casteddu di Santa Catarina c'è na scala di vinti scaluna, cu scinni vivu mortu acchiana (al castello di Santa Caterina c'è una scala di venti gradini: chi scende vivo, risale morto). Infatti, qualcuno non è mai risalito. La gente del posto racconta ancora fosse comuni, contenenti ossa di condannati alla pena di morte, eseguita nel segreto delle sue mura. I due castelli di Favignana erano isolati e costantemente controllati da guardie armate. Ma una volta si scoprì che i condannati di Santa Caterina riuscivano a comunicare con i condannati politici di castel San Giacomo tramite i barbieri. Le fosse delle Egadi non riguardavano solamente Favignana. Il castello di Marettimo era munito di una cisterna scavata nella roccia, che nel 1795 fu svuotata dall'acqua per poterla utilizzare come cella. I condannati vi ricevevano l'aria dalla "bocca" della cisterna che, rimanendo sempre aperta, lasciava entrare freddo, pioggia e insetti. Inoltre, i carcerati erano costretti a mantenersi verso il centro della grande cella, perché il tetto era a volta. Questo luogo fu conosciuto come "fossa di Marettimo". Sono stati tanti i patrioti del Risorgimento italiano (soprattutto napoletani, siciliani e calabresi) che conobbero queste isole con le loro "fosse'. Tra i più noti, vi furono Guglielmo Pepe e Giovanni Nicotera.
Dal libro di Michele Gallitto "Egadi Ieri ed Oggi"